Gli sprechi alimentari sono un fenomeno di grande attualità che coinvolge non soltanto i singoli consumatori ma anche ristoranti, mense e industrie di trasformazione del cibo. Una legge, approvata definitivamente in Senato il 2 agosto scorso, si propone di porvi un freno, con finalità sociali e ambientali.
Gli ultimi numeri sono allarmanti: la FAO stima che nel mondo, anno dopo anno, più di un terzo del cibo prodotto e distribuito, pari a circa 1,3 miliardi di tonnellate, venga inutilmente sprecato. Si tratta di una montagna di alimenti che, se utilizzata diversamente, potrebbe sfamare un esercito di circa 2 miliardi di persone per un anno intero, un risultato non da poco se si considera da una parte l’esiguità delle risorse disponibili, dall’altra l’incessante crescita della popolazione mondiale, che nel 2050 si prevede raggiungerà i 9 miliardi. Anche in Italia la situazione è tutt’altro che rosea. Secondo Coldiretti, lo spreco alimentare manda in fumo ogni anno 12,5 miliardi di euro, circa l’8% dei costi per alimenti sostenuti dai consumatori italiani. Il 54% viene perso nel consumo, il 21% nella ristorazione, l’8% nell’agricoltura e il 2% nella trasformazione. Tra le principali cause di questi sprechi: la cattiva conservazione degli alimenti da parte dei consumatori, l’apposizione di date di scadenza troppo rigide, l’eccessiva complessità delle catene produttive dei cibi industriali.
Di fronte a quella che assume ogni giorno di più i connotati di una emergenza globale, il Parlamento italiano è intervenuto con una legge, approvata con un largo consenso (187 si, solo 2 no e 1 astenuto), volta al recupero e alla valorizzazione di sprechi – prodotti ancora commestibili scartati per ragioni commerciali, estetiche o perché vicini alla data di scadenza – ed eccedenze – ovvero alimenti che, fermo restando il mantenimento delle loro caratteristiche essenziali, rimangono invenduti per diverse ragioni. Il testo di legge si ispira a una norma recentemente approvata in Francia ma, diversamente da quest’ultima, non fa ricorso a meccanismi sanzionatori, prevedendo piuttosto degli incentivi per chi dona, l’incremento dei fondi stanziati per le associazioni no profit e una forte semplificazione burocratica. Gli esercizi commerciali che vorranno donare le loro eccedenze alimentari agli enti caritativi, infatti, non dovranno più passare per la lunga trafila burocratica che imponeva la consegna di una dichiarazione preventiva cinque giorni prima della donazione. Con la nuova legge sarà sufficiente una dichiarazione riepilogativa da depositare a fine mese, con un considerevole abbattimento dei tempi.
È tramite questi provvedimenti che il legislatore si propone di centrare gli obiettivi chiave che hanno ispirato la formalizzazione della legge: salvare le eccedenze alimentari dal macero redistribuendole agli indigenti, educare i cittadini a un consumo più responsabile e sostenibile del cibo, ridurre gli impatti sull’ambiente derivanti dalla produzione industriale di alimenti e dallo smaltimento dei rifiuti.