13 Settembre 2016
Alta cucina in corsia: la ricetta dello Chef Niko Romito

Rivoluzionare la ristorazione collettiva portando l’alta cucina tra le corsie d’ospedale. È questo l’ultimo progetto di Niko Romito, chef di origine abruzzese che ha recentemente raggiunto le prestigiose tre stelle Michelin. Standardizzazione e replicabilità, sono queste le parole chiave intorno alle quali orbita la cucina dello chef stellato e sulla base delle quali è stato fondato il successo dei suoi progetti imprenditoriali. Romito è infatti proprietario del ristorante “Reale”, tra i 100 migliori ristoranti al mondo secondo la rivista inglese Restaurant Magazine, ma è anche ideatore di “Spazio”, ristorante-laboratorio con sede a Rivisondoli, Roma e Milano, gestito dagli ex allievi della sua Scuola di alta formazione.

 

Per oltre un anno, insieme all’Università “Sapienza” di Roma (Dipartimento di Nutrizione) a otto cliniche e al Gruppo GioService, gruppo leader nella gestione delle strutture di degenza, ha lavorato a un progetto sull’introduzione nelle mense ospedaliere di menu nutrienti, digeribili e gustosi, che vedrà la luce il 19 ottobre presso la struttura ospedaliera “Cristo Re” di Roma. La filosofia di fondo del progetto è semplice quanto affascinante: attraverso la standardizzazione delle ricette è possibile elevare il livello medio della qualità dei piatti e replicare una cucina di qualità in ogni luogo. Secondo lo chef, attraverso la creazione di procedure canonizzate, facilmente replicabili da personale con adeguata formazione, è possibile dislocare l’alta cucina dai ristoranti di lusso e proporla con successo in altri luoghi meno abituali come le mense ospedaliere. Tutto ciò non è frutto di improvvisazione, ma di svariati anni di esperienza e, addirittura, rigorosa ricerca scientifica.

 

Quanto viene elaborato nelle cucine del ristorante “Reale” o del laboratorio “Spazio”, infatti, diventa poi modello standard da replicare altrove. Romito si propone di rileggere i piatti della tradizione culinaria italiana non mediante la semplice reinterpretazione delle ricette classiche, pratica che rischia di stravolgerne l’essenza, ma attraverso le lenti della modernità, sfruttando le moderne conoscenze scientifiche, riducendo i grassi, rispettando i valori nutrizionali e le qualità del prodotto. Questa visione, con riferimento al miglioramento del livello medio della ristorazione collettiva, si traduce in un concetto di fondo: il controllo di qualità non deve essere effettuato esclusivamente in entrata – quando il prodotto fa il suo ingresso in cucina – ma deve altresì verificarsi in cucina, nel momento in cui  il risultato finale viene presentato al commensale.

 

Lasciare la ristorazione collettiva ospedaliera alla diversa sensibilità di chi si trova ai fornelli, senza procedure standard dettate da esperti di ristorazione,  rischia di compromettere la qualità complessiva del servizio e che i valori nutritivi e organolettici del pasto vengano stravolti, a tutto svantaggio dell’utente finale. Non è soltanto una questione nutrizionale o salutare, ma di estetica e risparmio. Un prodotto trattato secondo modelli replicabili e formule esatte conserva, oltre ai suoi valori nutritivi, un aspetto migliore, e consente di risparmiare sino al 45% del prodotto che, diversamente, andrebbe irrimediabilmente perso. Limare i costi del cibo significa, inoltre, ottenere un risparmio che può essere riutilizzato per acquistare materie prime di maggiore qualità.